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Scritti

A cura di Roberto Calasso


Milano, Adelphi, 1984, Biblioteca Adelphi, 136
cm 22x14, pp. 397-(7), brossura illustrata con alette
Prima edizione. Ottimo esemplare >>>

€ 25
Roberto Bazlen nacque a Trieste nel 1902 da padre tedesco e madre italiana. Il tedesco fu la sua lingua ancor più dell’italiano. Precocissimo, si inventò una forma di vita che non avrebbe mai abbandonato: passare ogni giorno un certo numero di ore a leggere, disteso su un letto con qualche cuscino. A Trieste, frequentò Saba e Svevo. E intanto diventava amico di Eugenio Montale, Giacomo Debenedetti, Sergio Solmi. Fu lui il primo a cogliere il genio che sino allora nessuno aveva riconosciuto nei romanzi di Svevo: ne scrisse con entusiasmo a Montale – e così cominciò la fortuna di Svevo. Dopo qualche vano tentativo di dedicarsi a un’attività pratica, a Genova, a Trieste stessa, a Milano (dove rimase per qualche anno), Bazlen approdò a Roma all’inizio del 1939, avendo nel frattempo dato fondo, deliberatamente, al patrimonio ereditato dalla famiglia. A Roma, in una stanza mobiliata di via Margutta, sarebbe vissuto per ventisei anni, fino a due mesi prima della morte, nel 1965, a Milano. La sua attività di consigliere editoriale, che prima avveniva per singole segnalazioni a singole persone del mondo editoriale, prese una forma più articolata e precisa a partire dagli ultimi anni della guerra: Adriano Olivetti, di cui era amico da tempo, gli affidò infatti il compito di preparare con lui il programma di una casa editrice nuova che fosse in grado di affermarsi dopo la caduta del fascismo, progetto molto ambizioso che poi non andò in porto, mentre i titoli proposti da Bazlen solo in minima misura rifluirono nel programma delle Edizioni di Comunità. Negli anni immediatamente successivi alla guerra Bazlen continuò a consigliare libri a varie case editrici, come Bompiani e Astrolabio, ma il rapporto più duraturo fu quello con Einaudi, negli anni Cinquanta. Si può dire, comunque, che Bazlen soltanto con l’Adelphi abbia avuto modo di tracciare un programma editoriale che pienamente gli corrispondeva – e che poi si è attuato ben al di là della sua morte.
Roberto Bazlen non pubblicò nulla durante la sua vita. Eppure si può dire che sempre la sua vita ha avuto a che fare con i libri. Così l’immagine che per molti si è fissata di lui è quella di un infaticabile scopritore e suggeritore di opere, di autori. Ma basta aprire una pagina qualsiasi di questi suoi Scritti per avvertire che quell’immagine è parziale e sviante. Singolare non è tanto che apprezzasse e consigliasse quei libri (in fondo erano libri essenziali del nostro tempo, e solo in un paese di inveterata angustia culturale i suoi suggerimenti sono potuti apparire a lungo eccentrici); singolare è che una vita così viva (per lui il raggiungimento più difficile: «Un tempo si nasceva vivi e a poco a poco si moriva. Ora si nasce morti – alcuni riescono a diventare a poco a poco vivi»), che un’intelligenza così bruciante, che una limpida vocazione sciamanica sfociassero, come nella loro principale manifestazione pratica, in quell’attività del consigliare libri. Taoista (è l’unica definizione che gli si può applicare senza imbarazzo), Bazlen aveva imparato da Chuang-tzu che il sapiente lascia il minimo di tracce: quei libri di cui parlava e che consigliava erano le sue tracce. Per il resto, ciò che ha scritto è tutto una sequenza di «note senza testo»: annotazioni leggere, acuminate, narrative o aforistiche o epistolari, leggibili tutte come appunti per un’immaginaria scienza dell’autotrasformazione. Una scienza che, se esistesse, non si manifesterebbe in forma scritta; e, finché è immaginaria, si manifesta per scritto nel modo più discreto, quasi impercettibile. Questo libro raccoglie i tre volumi postumi di Bazlen apparsi fra il 1968 e il 1973, con l’aggiunta delle preziose Lettere a Montale.

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